lunedì 25 marzo 2013

Winter is not leaving


Ok, immaginate di svegliarvi nel bel cuore della notte con il rumore delle finestre che tremano ad ogni folata di vento. Vi alzate momentaneamente dal letto, bevete un sorso d'acqua e guardate la sveglia. Sono le due di notte. Un rapido sguardo fuori dalla finestra vi fa notare come la maggior parte degli alberi là fuori siano inclinati di circa 30°. Il vostro cervello ci mette circa dieci secondi a stabilire che la gravità terrestre non ha subito sostanziali modifiche nel corso della notte e che probabilmente non è responsabile della strana postura degli alberi. Altri 5 secondi di duro lavoro cerebrale e finalmente la realtà inizia a sembrare più chiara. È colpa del vento.
Ogni folata piega le cime degli alberi come se fossero i VU-meter dei vecchi amplificatori Hi-Fi (belli, a me piacevano un sacco, chissà perché non li fanno più così...), e le finestre di casa rispondono con un adorabile clangore, lo stesso responsabile di avervi svegliato.
Maledicendo entità immaginarie, la soluzione migliore sembra quella di tirare giù le tapparelle (nella speranza che forniscano un minuscolo e quasi inutile ostacolo aggiuntivo al vento contro le finestre) e rimettersi a dormire. O quantomeno provarci, rintanandosi ben bene sotto le coperte perché quando tira così forte non c'è niente che tenga e gli spifferi sono inevitabili.
Con molta fatica riuscite ad arrivare alle 7 di mattina, e la sveglia vi ricorda che in teoria dovreste uscire da lì e fiondarvi sotto la doccia, mentre il vostro unico desiderio è quello di chiudere gli occhi e risvegliarvi direttamente domattina, col sole che fuori splende e gli uccellini che cinguettano.
Come nobile compromesso (addirittura meglio che in altri giorni) poggiate il piede sul pavimento verso le 7:30 e subito l'idea di una doccia calda acquisisce un fascino esoterico ed irresistibile.
Sbrigate le solite formalità mattutine (tazzone di caffè con l'equivalente di tre tazzine, una camilla e il radiogiornale di Virgin Radio con quella speaker che parla con quella cadenza romana che sapresti dire perfettamente in quale palazzo della tiburtina è nata e cresciuta) vi vestite e guardate fuori. A parte gli alberi piegati come ieri notte non notate nulla di anomalo. Ancora.
Quindi dopo esservi adeguatamente imbacuccati, perché vabbene sì che siamo a marzo e che l'altro ieri c'era il sole era una bella giornata e quellochetepare ma mi sa che là fuori fa un attimino freddo, è giunto il momento di mettere il naso fuori di casa e recarvi alla fermata dell'autobus per iniziare una giornata come tante altre.
Il primo segnale di allarme lo ricevete appena posate il piede sul primo scalino fuori di casa. D'improvviso il pavimento di rifiuta di fornire solido appoggio alla vostra suola e il mondo intorno a voi inizia a ruotare inaspettatamente. Un secondo, non è il mondo che ruota. 
Dopo aver immediatamente riposizionato il piede in fallo vi rendete conto che praticamente ovunque la strada è ricoperta da una sottile ma dura patina di ghiaccio che d'improvviso renderà più interessante il tragitto verso la fermata. Stringendo i denti iniziate la discesa verso la strada principale e la tanto agognata fermata, rischiando qui e lì di sbattere le chiappe sul freddo e duro asfalto.
Ovunque ci sono segnali da apocalisse. Il freddo intenso ha causato l'immediato gelarsi della pioggia sulle macchine, al punto che sotto i parafanghi si sono già formate ordinate e verticali tante piccole stalattiti inquietanti.
Soffocando una nutrita dose di bestemmie finalmente riuscite a raggiungere la fermata e vi piazzate all'attesa dell'agognato autobus che vi porterà in ufficio. Aspetta 5 minuti. Aspettane 10. Quando un premuroso collega vi avvisa dal capolinea che l'autobus non partirà a causa della strada ghiacciata l'andazzo della giornata inizia a diventare sempre più chiaro.

Ok basta col racconto in seconda persona, mi sono stufato pure io.

A quel punto c'era solo una cosa da fare: recarmi in università e lavorare da lì. Peccato che alle 12 era stata fissata da tempo immemore una teleconferenza per un liceo della provincia nella quale avrei avuto 15 minuti per spiegare ai quei poveri ragazzi in cosa consiste la mia squallida vita.
Fatto sta che le avverse condizioni meteo non lasciavano presagire nulla di buono a riguardo.
Riesco a salire a stento su uno degli autobus che portano in università (che di solito, e oggi a maggior ragione, sono pieni come uova) e per un attimo faccio l'errore di pensare che forse la fortuna è dalla mia parte, almeno stamattina.
Sbagliato.
Arrivato il momento di scendere realizzo che il motivo per cui fa così freddo stamattina è lo stesso per cui stanotte mi sono dovuto svegliare alle 2 per abbassare le tapparelle, si è alzata quella cazzo di bora maledetta che ogni volta riesce a disintegrare la mia voglia di vivere e a liquefare le mie condizioni psicofisiche.

Ora per quelli di voi che sono stati così fortunati in vita loro da non aver mai provato l'esperienza della bora sappiate che è come aver davanti un cucciolo di yeti alto 30 metri con l'alito di ghiaccio che si diverte a soffiarvi addosso la sua gelida fiatella perché vi ha scambiato per una delle candeline sulla sua torta di compleanno. Fiatella che, mediamente, ha una velocità che si aggira sui 70-80 km/h. Se siete fortunati ed è stagione si può arrivare tranquillamente a 120 km/h. In vita mia ho avuto la grandissima fortuna di sperimentare  la bora a 170 km/h.

Che culo.

Tornando al racconto, non faccio in tempo a scendere dall'autobus che di nuovo cado nello stesso tranello tesomi dal sempre pronto marciapiede ghiacciato. Forte dell'aver già superato una crisi simile solo 20 minuti prima riesco a vincere la sorpresa del pavimento ghiacciato e a tenermi in piedi senza cadere.
Riesco in tempo a voltare la testa verso destra per vedere un'orda di studenti scendere dal mio stesso autobus, l'avanguardia di quella calca di bestie non mostra però la mia stessa prontezza di riflessi e rotola a terra come un branco di pinguini ubriachi suscitando in me un malcelato accenno di ilarità.
Ma non c'è tempo per ridere. La mia non trascurabile stazza fa sì che io offra una non trascurabile superficie al freddo vento che imperversa da ieri sera, e immediatamente mi trovo trasformato in vela.
Normalmente non sarebbe successo niente poiché l'attrito offerto dalle mie scarpe al terreno sarebbe stato sufficiente a tenermi fermo mentre l'aria gelida sferza contro il mio volto ricacciandomi letteralmente in bocca le bestemmie che cerco di spingere fuori così faticosamente.
Peccato che per terra c'è ghiaccio.
Fatto sta che mi trovo a traslare incontrollatamente verso il lato della strada dove, per mia grandissima fortuna, è sito uno di quei corrimano che i nobili cittadini triestini hanno deciso di installare per le strade della città per evitare di pulire i pavimenti dai cadaveri del resto della popolazione italiana e non.
Rimango fermo per 10 secondi cercando di valutare il da farsi.
D'improvviso mi sentivo come la prima volta che sono andato a pattinare sul ghiaccio. Ero da solo perché la ragazza a cui avevo dato appuntamento decise che era meglio dare buca. Dal mio canto il mio titanico orgoglio da dodicenne mi impose di andare e divertirmi comunque da solo.
Il flashback di me attaccato al corrimano del palaghiaccio di Marino terrorizzato anche solo di mettere avanti un piede sul ghiaccio si fece vivido e reale come mai e mi sono trovato paralizzato, oggi come allora.
Il fatto poi che quel fatidico giorno mi ruppi il polso non mi aiutava a decidermi a muovermi. Altri poveri e intelligenti ragazzi ebbero la mia stessa idea e si aggrapparono al corrimano. Peccato che andavano nella direzione opposta alla mia.
Riuscii a non cedere il passo, costringendo l'altro ad avventurarsi sul territorio ghiacciato senza il minimo supporto. In un attacco di senso di colpa gli offrii il mio braccio come sostegno ma lo rifiutò. Peggio per lui.
Una volta riuscito a spingermi verso un punto del marciapiede in cui il ghiaccio non aveva ancora avuto la meglio sulla fanghiglia fu facile attraversare la strada e conquistare finalmente l'entrata del dipartimento di Fisica.

In tutto questo contattai l'organizzatore della teleconferenza e decidemmo che l'unica possibilità di effettuare il collegamento era comunque recarsi nel luogo prestabilito. Riuscii a strappargli la promessa di un passaggio in macchina andata/ritorno dato che qualsiasi possibilità di raggiungere il luogo con i mezzi pubblici era svanita non appena, aprendo la home di facebook, ero stato inondato da messaggi di amici/colleghi/semisconosciuti intenti nel solito reportage sulla viabilità di ogni strada del carso, dettagliato al centimetro. Da ovunque giungevano notizie di camion rovesciati, autobus scontratisi con spargisale e chi più ne ha più ne metta.

Col senno di poi Alemanno non fece una così pessima figura. Lui almeno aveva una mezza scusa che a Roma non è che nevica e fa freddissimo ogni anno.

Riesco a fare il mio dovere senza troppi intoppi e verso l'una decido che piuttosto che tornare in dipartimento e rischiare poi la vita per tornare a casa la sera sarebbe stato meglio andare direttamente a casa e lavorare da lì.
Appena sceso dalla macchina mi rendo conto di una cosa a cui non credo di aver mai assistito in vita mia. Quella che scendeva dal cielo non era pioggia, non era neve, non era grandine. Erano cristalli di ghiaccio. Il che non è necessariamente male. Peccato che ogni folata di bora li trasformasse in microscopici pugnali volanti che non vedevano l'ora di venirmi contro a 80 km/h.

Espellendo le ultime bestemmie mi avvio per la salita di casa, cercando di non scivolare, cercando di non farmi sbalzare via dalla bora, e cercando di non farmi pugnalare negli occhi dalle piccole shuriken di ghiaccio volanti che venivano sparpagliate ovunque dal vento.
Finalmente riesco a raggiungere casa, e a crogiolarmi nell'innaturale ed esagerato caldo generato dalla terribile accoppiata riscaldamento centralizzato + palazzo abitato da vecchi.

Sono solo le 14 quando rientro a casa, ma mi sembra di essere stato via un mese e di aver rischiato la vita sull'Himalaya.


Se vi state chiedendo il perché di questo spropositato pistolotto... beh... è che odio il freddo e l'inverno e mi andava di lamentarmi...


p.s: Non azzardatevi a chiedere "e allora che ce sei venuto a fa?", a meno che non abbiate proprio voglia di una rinoplastica casareccia a suon di pugni.