venerdì 26 ottobre 2012

Quel che accade nella scienza

Certe volte ho l'impressione che diamo per scontate un po' troppe cose. Ho ancora dei vaghi ricordi di quando ero ragazzino ed ero alle scuole elementari. Eravamo sull'orlo dell'avvento dei telefoni cellulari dal momento che se ne iniziava a far uso nelle famiglie ma non erano ancora una parte tanto fondamentale della nostra vita quotidiana. E allora era normale che quando volevi andare a giocare a calcetto con gli amici partiva il solito giro di citofonate, seguite dall'implorazione per il permesso di scendere al campetto, e di solito la partita terminava o perché sapevi di avere un coprifuoco prestabilito e di dover tornare a casa, o perché semplicemente udivi l'urlo di richiamo che sanciva la fine dei giochi.

Beh oggi una cosa del genere è pura fantasia. Lo sviluppo tecnologico degli ultimi 20 anni ha letteralmente decimato la distanza tra le persone. Oggi siamo in grado di comunicare istantaneamente senza particolari restrizioni geografiche o tempistiche e anzi, lo facciamo forse troppo spesso. Eppure questa cosa non mi da fastidio, anzi ci sono abituato. Salvo quei momenti in cui mi fermo a riflettere su quell'oggetto straordinario che teniamo in mano tutti i giorni e che ormai è in qualche modo una estensione della nostra persona.

Come diavolo fa a funzionare? Come abbiamo fatto ad arrivare ad un tale livello di sofisticazione per cui un oggetto così piccolo racchiude una potenza di calcolo tale da essere circa 500 volte superiore a quella dei calcolatori che resero possibile il viaggio verso la luna nel '69 (la leggenda vuole che si trattasse dell'equivalente di due Commodore64, che di base aveva una CPU che operava a 1MHz di frequenza di clock). Un oggetto del genere è in grado di effettuare un numero spaventoso di somme o sottrazioni al secondo, operazioni che vengono svolte manipolando unità fondamentali binarie (che possono quindi assumere solo due possibili valori predefiniti) chiamate comunemente 'bit' e che vengono manipolate per via di cambi di corrente e tensioni all'interno del microprocessore.

Si tratta quindi di oggetti che hanno raggiunto ormai un livello di complicazione enorme, principalmente dovuto alle richieste di potenza e miniaturizzazione, ma che alla fin fine operano su principi fisici che sono ben noti ormai dalla metà del 19° secolo (per essere onesti la comprensione del funzionamento dei semiconduttori non avvenne fino al 1930, ma l'elettromagnetismo in se' è ben più vecchio).
E la nostra vita, oggi come oggi, non può più prescindere da tutti quegli apparati che operano secondo questa tecnologia. Per questo li diamo per scontati. E alla fin fine non è tanto importante capire perché funzionino, quale stregoneria ci sia dietro, l'importante è che funzionino.

Ma ogni volta che finisco in questi ragionamenti, in cui scavo a ritroso cercando di capire cosa c'è veramente alla base del funzionamento di un oggetto, non posso fare a meno di pensare che ci sono state una o più persone che per prime, pionieristicamente, gettarono la base per la costruzione di tutti quegli oggetti che oggi siamo abituati a vedere ovunque. Ma se queste persone non si fossero mai interessate a problemi che la maggior parte della gente loro contemporanea probabilmente considerava poco interessanti, oggi non avremmo computer e telefoni cellulari.

Alla fine l'unica vera spinta alla scoperta, e al successivo progresso che ne deriva, risiede nella curiosità. Curiosità che, in barba ai proverbi, non è donna ma scienziato. Si può dire che la curiosità è uno dei prerequisiti necessari per potersi occupare di scienza. È la curiosità che genera le domande, ed è la stessa identica curiosità che ti spinge a cercare le risposte, e così facendo guadagniamo ogni volta un pezzetto in più di consapevolezza su come funziona il mondo.

Ci interessa davvero capire come funziona il mondo? Io penso di sì, perché altrimenti saremmo già morti di fame nel paleolitico.

Ci sta bene una precisazione. Da bravo (e su questo possiamo anche trattare) fisico quando dico "capire come funziona il mondo" in realtà intendo dire "essere in grado di descrivere una gamma di fenomeni naturali più ampia possibile". Qualcosa del tipo "se metto la mano sul fuoco mi brucio" o "se lancio un sasso in verticale nell'aria questo ricasca e mi sfregia la faccia", solo ogni volta piu' accurato e piu' elaborato.

Il problema è che il mondo non sempre (anzi mai) ci fa il favore di comportarsi esattamente allo stesso modo sotto gli stessi stimoli, quindi spesso e volentieri siamo chiamati a dare una descrizione di ciò che "probabilmente" può accadere.

E' chiaro che questa è una rogna gigantesca, non saremo mai in grado di prevedere esattamente quello che accadrà ad un certo sistema con tutta l'accuratezza che desideriamo, certe volte dobbiamo accontentarci di ragionare in termini di ciò che è più o meno probabile che accada.
La precisione con cui siamo in grado di "predire il futuro" dipende molto sia dalle nostre conoscenze della situazione presente che dalla accuratezza con cui sappiamo descrivere tutti i possibili processi coinvolti.
Ad esempio sembrerei piuttosto ridicolo se me ne uscissi affermando che domani il sole non sorgerà. Sappiamo tutti che lo farà e nessuno, neanche per un istante, si fermerà mai a pensare il contrario. Questo perché dopo secoli e secoli di esperienza (ogni volta che c'alziamo la mattina e guardiamo fuori dalla finestra a conti fatti stiamo misurando l'esistenza del sole, no?) ci permettono di misurare la probabilità di "sorgimento del sole" con una precisione mostruosa. Se volete dei numeri possiamo stimarla essere compresa tra il 99.999993777% e il 100%, che è praticamente la certezza assoluta che il sole domani si alzerà in cielo.
(Per gli interessati la stima è fatta assumendo una distribuzione binomiale con un numero di tentativi e successi pari ai giorni degli ultimi 50000 anni, ho usato 50000 anni perche' secondo Wikipedia è il periodo in cui l'homo sapiens ha raggiunto la modernità comportamentale. A guardarmi un po' intorno direi che Wikipedia si sbaglia)
(Per i nerd tra gli interessati non si puo' usare la formuletta standard per l'intervallo di confidenza binomiale, ma bisogna usare l'intervallo di Clopper-Pearson, perché la probabilità campionaria è esattamente 1)

Laddove la nostra conoscenza scarseggia di molto (anyone says "terremoti"?) purtroppo la stima non sarà mai così precisa e dobbiamo sempre ricordarci che quando si parla di probabilità può veramente succedere tutto e nulla è già scritto.
Ma in questo non c'è nessuna colpa. È solo il risultato di un metodo di indagine ormai ben collaudato e, nonostante tutto, piuttosto fruttifero. In fin dei conti non sentirete mai uno scienziato serio parlare in termini assoluti, ma sempre in termini di probabilità, margini di errore, test di ipotesi e così via. E la cosa che veramente mi piace è che ogni volta che si dichiara di aver misurato una certa quantità, a conti fatti la si sta confinando all'interno di un intervallo di valori che siamo sicuri contenga il vero valore deciso dalla natura. Ma all'interno di quell'intervallo ogni numero è buono come un altro e in fin dei conti ogni affermazione del genere e' una spontanea, autentica, incontrovertibile ammissione di ignoranza.
E questo è bene, perché è dalla consapevolezza dell'ignoranza che nasce la curiosità.

E allora è facile prendersela con la scienza, perché è in grado di darci risposte praticamente esatte su cose che ormai non ci interessano più (chi veramente si chiede ancora se il sole sorgerà? Secondo me anche i primi homo sapiens dopo un paio di mesi hanno smesso di preoccuparsene) ma quando si tratta di cose importanti brancola nel buio e non può sblianciarsi in favore di nessuna ipotesi.

Ecco, prima di pensare mai una cosa del genere (spero che non succeda, ma non si sa mai) prendete in mano il vostro cellulare e guardatelo per 10 secondi. Poi guardatevi intorno. Fermatevi a pensare a tutto quello che la scienza e la tecnologia ci hanno regalato negli ultimi 20 anni. 
Poi vi sfido a riprovare a prendervela con gli scienziati.

La messa (in berta) è finita, andate in pace.

Bakko


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