lunedì 22 ottobre 2012

Some thoughts

Se c’è una cosa che mi son sempre ripromesso di fare è senz’altro quella di provare a tenere un blog. Peccato però che la mia pigrizia più che leggendaria abbia sempre remato contro, complice anche il fatto che più ci penso meno ho da dire.

Non mi sorprenderebbe se questo risultasse l’ennesimo tentativo malriuscito di impegnarmi in qualcosa di continuativo...

Ma prometto che ci proverò, se non altro per amor proprio e per invidia di coloro che riescono a tenerlo, un blog... (sì, Martina, Luca e Patrizio-Cristiano, parlo di voi!).

Approfitto allora del primo post per segnalare l’imminente uscita del nuovo lavoro dei Punch Brothers “Ahoy”, in arrivo per il 13 Novembre.


Il singolo estratto è una cover di Josh Ritter (sinceramente non ho idea di chi sia) . Da bravo fanboy ho già preordinato una copia anche perché sono molto curioso di vedere dove andranno a parare stavolta.
A questo punto ci sta bene una piccola digressione. Tanto se state leggendo qua vuol dire che non c’avete niente di meglio da fare.
I Punch Brothers nascono dall’esperienza solista del mandolinista Chris Thile iniziata dopo lo scioglimento dei Nickel Creek (ci tornerò in futuro, meritano sicuramente uno spazio tutto loro). Thile, dopo aver sperimentato abbastanza in due album solisti mentre i Nickel Creek erano ancora in attività, forma la “How to grow a band” come proseguimento della sua carriera dopo i NC e incide il suo terzo disco solista “How to grow a woman from the ground”. 
Questo disco è sostanzialmente l’inizio di quelli che subito dopo diventeranno i Punch Brothers. 


Il disco, del 2006, è un piccolo capolavoro di composizione e arrangiamento e sostanzialmente si differenzia dai primi due lavori solisti di Thile in cui la componente sperimentale era molto accentuata e la formazione variabile da brano a brano. A pieno titolo va considerato come il primo disco dei Punch Brothers, anche se sarà il successivo “Punch”, nel 2008, ad essere il primo vero lavoro della band.



Vorrei evitare di mentire, se possibile, quindi lo dico subito chiaro e tondo. “Punch” è un album di difficile ascolto. Ma veramente difficile. 
Nonostante il brano di apertura (“Punch Bowl”) apra con uno dei riff più subdoli mai concepiti (mi son trovato a canticchiarlo inconsciamente per un’intera settimana di fila) è pieno di dissonanze e tensioni che, nonostante siano ben concepite e orchestrate, possono spaventare molti ascoltatori. Non aiuta certo la suite da 40 minuti “The blind leaving the blind”, composta da Thile per affrontare la difficile esperienza del suo divorzio nel 2004. A tutt’oggi ancora non sono riuscito ad apprezzare in pieno tutti e 4 i movimenti della suite, immagino mi ci vorrà più pazienza e concentrazione.

Ma arriviamo al 2010 e al secondo disco della band: “Antifogmatic”. Come succede a volte in una band, dopo un primo periodo di assestamento e di tentativi si raggiunge alfine un punto in cui l’identità del gruppo viene finalmente stabilita in termini di sonorità, stile compositivo, etc... Ed è esattamente quello che succede in questo disco, Thile & co. riescono finalmente a definire chi sono, cosa vogliono fare, cosa vogliono dire e come lo vogliono dire. Il disco si lascia alle spalle le complicate sonorità di “Punch” e ristabilisce l’impronta sonora che la band aveva in “How to grow a woman from the ground” facendo però tesoro dell’esperienza compositiva guadagnata con “Punch”.


Ed ecco che la band si guadagna la popolarità che merita (almeno negli US...), ospiti da Letterman, tour continui, concerti sempre affollati e così via.

La novità arriva nel 2012. Il terzo lavoro della band “Who‘s feeling young now?” lascia tutti (o perlomeno me) a bocca aperta.


Cambiano completamente le carte in tavola. Si rinuncia al dettaglio iperrealistico in sede di registrazione e si inizia ad optare per un suono più “radiofonico”. Le virgolette sono d’obbligo e ci tengo a specificare che l’accezione del termine è tutto fuorchè negativa. 
In sede di mixing la band inizia a osare in termini di effettistica (riverberi e distorsioni in un disco di musica acustica? Perché no? Il contrabbasso distorto nella title-track è una delle cose più fighe che ho mai sentito in vita mia. Roba da orgasmo acustico) e anche a livello compositivo inizia a stravolgere gli schemi e produrre chicche pop di altissimo livello. Una cosa del tipo “Justin Timberlake meets Bill Monroe”. Una menzione d’onore la merita la traccia di apertura “Movement and Location”. Praticamente la band grida “Radiohead chi?”, per poi ricordarsene nella penultima traccia quando ci propone una azzeccatissima cover di “Kid A” (c’è chi pensa, e io condivido, che sia addirittura meglio dell’originale, vero Patriziè?).

Insomma, in tutta la loro carriera ‘sti 5 stronzi non ne hanno mai sbagliata una e mi sembrerebbe strano se iniziassero proprio adesso. A maggior ragione vista la grande svolta che hanno avuto con “Who’s feeling young now” sono decisamente curioso di sentire cosa proporranno in “Ahoy”.

La messa (‘nder retro) è finita. Andate in pace.


Bakko 

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